sabato 8 ottobre 2016

Salmerìa 40.2016

Religiosità popolare, dicono

Es ora la Deutsche Bank è a rischio nazionalizzazione

Sorpresa, i pensionati non sono poveri

La crisi bancaria tedesca accelera

Libertà di mercato e dottrina sociale della Chiesa. Una lettura controcorrente

Cyberbullismo, una legge fatta per rieducare

Abbiamo il record della vita lavorativa più breve

Alitalia vola sul paese del bail-in

"Lui, che era lei, ma è lui…". Tutto quello che il papa ha detto su divorzio e "gender"

Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione. L’ennesima esibizione di ipocrisia

Danilo Quinto. “Preferisco morire da cristiana che essere libera da musulmana”

Turchia, tutte le epurazioni di Erdogan

È il tempo della responsabilità personale

MANIFESTO contro la rottamazione della Costituzione

Nessuna semplificazione, il nuovo Senato è tutto una Camera di incertezze

Sentinelle in Piedi contro la legge sul cyber-bullismo

Vogliamo davvero più leggi?

Et voilà, la Germania chiede nuove sanzioni contro Mosca per la Siria. Il conflitto ora è a un passo

Donald J. Trump si circonda di consiglieri cattolici. Non è poco

«Le suore spose»: facciamo chiarezza

La Polizia usa lo shopping per sloggiare le Sentinelle





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giovedì 6 ottobre 2016

Cinematografo dell'alpino: Alla ricerca di Dory - Dory alla ricerca di Dory

Il nuovo film Pixar tra animazione e romanzo di formazione


Lo si capisce anche solo guardando il corto che per la Pixar il cinema d’animazione non è solo botteghino e incassi, ma qualcosa di più: è passione che arriva alla più alta forma di ambizione. Cioè quella di mettere in scena un’opera che ha ancora il coraggio anche solo di lasciare un’ipotesi su quelle che sono le grandi questioni della vita; di descrivere, tramite una vera e propria “poesia” delle immagini, quelli che sono i sentimenti che ci ritroviamo addosso. Su questo lo studio di animazione fece anche di più: prese alcuni di questi sentimenti e li fece protagonisti veri e propri di un film, Inside Out per l’appunto, che ci ha tenuto attaccati per un bel po’ di tempo sugli schermi a riflettere proprio sulla natura di questi.

Ma qui però parliamo del suo ultimo lungometraggio. Alla ricerca di Dory (Finding Dory in originale) prosegue su questo filone di storie ambiziose, e gli riesce benissimo. Il merito va dato anche al regista Andrew Stanton, che ha saputo districare una nuova trama definita sempre sullo stile del suo precedente (Stanton infatti è stato il regista anche di Alla ricerca di Nemo) ma imprimendo bene le nuove questioni che questa tiene. Come nella prima pellicola infatti la storia si dirama sui temi del viaggio e della ricerca di qualcuno, però a dettare la differenza, in modo da non ritrovarsi una replica spiccicata del precedente, sono gli elementi di riflessione: il primo film era la ricerca di un padre del proprio figlio, qui invece c’è una figlia, Dory appunto, che cerca la sua famiglia. Differenza non minimale come sembra: la ricerca dei genitori diventa infatti la perfetta metafora di una vera e propria ricerca dell’origine che meravigliosamente la Pixar traduce in una vera e propria ricerca di sé, una ricerca dell’io. C’è anche altro in gioco ovviamente: c’è sottesa l’idea di una realtà buona e provvidenziale, buona, che passa proprio nello sguardo della protagonista, a volte un po’ ingenuo per carità, che riesce sempre a cogliere un positivo; su questo si collegano anche gli altri due protagonisti, il pesce pagliaccio Marlin e il nuovo personaggio di Hank il polpo: il primo che sotto lo sprone del figlio vuole anche lui imparare quella positività, quel modo di agire tipico della sua amica, mentre il secondo, più riluttante, che imparerà a mettere da parte i suoi progetti per un rapporto che per lui è illuminante su tutto, anche su ciò che non va. Bellissima è anche la descrizione che il film dà sulla “memoria”: non più trattata come semplice custodia dei ricordi, qui è una bussola che direziona, indica la strada da seguire, e soprattutto è lo strumento che aiuta capire la relazione tra il nostro agire e la realtà che ci circonda. Va aggiunto che inoltre Dory è un personaggio che nella sua caratterizzazione (che nel corso del film sembra sempre acquisirne di nuovi) sa tenere bene in sé tutto l’impianto tematico della pellicola: è ingenua e allo stesso tempo acuta, è smemorata ma sa capire l’importanza della memoria, transita dai ritmi comici a quelli più riflessivi con una grande naturalezza.

Il tutto passa poi per quelli che sono i due pilastri della Pixar: un’animazione che sa toccare vertici di altissimo realismo e uno humor genuino (quasi un mix di comicità americana anni 50’ e di pungente acume come nelle vignette dei Peanuts). Per la realizzazione grafica la casa di produzione della California non trascura nulla: la resa grafica è perfetta, gli sfondi sono curati bene e non sono mai monocromatici, alcuni elementi toccano punte di realismo di grande perfezione (le fontane dove saltellano Marlin e Nemo, per esempio, sembrano quasi vere), le scene che si svolgono sul fondo dell’oceano danno l’impressione allo spettatore che queste siano girate dentro l’oceano vero.

Alla ricerca di Dory è un'altra perla che si aggiunge alla lista dei tanti altri capolavori targati Pixar (che d’altronde ha come suo minimo il “bellissimo”): un film che coniuga la semplicità delle storie per bambini con i temi dei grandi romanzi di formazione. Ed è vero quando vedi l’ultima scena del film che lascia lo spettatore con una massima che traspare nello sguardo dei due protagonisti davanti all’oceano aperto (quel “grande blu” del primo Alla ricerca di Nemo): davanti a te si staglierà sempre un grande e immenso mistero che però, nell’amicizia con uno, puoi guardare con tenerezza e fiducia.

Per finire va anche sottolineato il corto che precede il film: Piper. Una piccola storia che però saprà coinvolgervi e prepararvi al meglio, come un ottimo “antipasto” per il lungometraggio vero e proprio.


Antonello Di Nunno








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mercoledì 5 ottobre 2016

Obice: Il Papa torna a colpire il gender

I ottobre, il Papa ha detto, nel suo discorso durante l'incontro con il clero a Tbilisi: “C'è un grande nemico oggi del matrimonio: la teoria del gender“. “Oggi c'è una guerra mondiale per distruggere il matrimoni” ha affermato rispondendo a una delle testimonianze, quella di una madre di famiglia. Ma non si distrugge con le armi, si distrugge con le idee: ci sono colonizzazioni ideologiche che distruggono. Pertanto difendersi dalle colonizzazioni ideologiche. Il matrimonio è la cosa più bella che Dio ha creato. La Bibbia ci dice che Dio ha creato uomo e donna e li ha creati a sua immagine: cioè l 'uomo e la donna che si fanno una sola carne sono l 'immagine di Dio, ha detto ancora il Papa. Lasciando intendere chiaramente che solo fra uomo e donna si può avere matrimonio.

Sì, Eugenio Scalfari (è inutile pacioccare, riaggiustare l'apparecchio amplifon), Francesca Pardi (colei che sosteneva che il Papa apprezzase i suoi libri pro famiglie arcobaleno) and Co avete sentito/letto bene. Papa Francesco ha riaffermato – perché esiste – la pericolosità dell'ideologia gender. Perché è da tempo che lo fa; per esempio: 21/03/2015 sul lungomare di Caracciolo, a Napoli, con la famosa frase “il gender è uno sbaglio della mente umana”, e poi ripetuta il mese dopo, il 15 aprile, durante il prosieguo della catechesi della famiglia, incentrata quel giorno sul rapporto uomo-donna e la loro complementarietà, all'udienza generale in Piazza San Pietro. In questo caso lanciò un vero e proprio appello agli intellettuali, credenti e non, ai quali chiese di affrontare la sfida del gender, “Dio ha affidato la terra all'alleanza dell'uomo e della donna: il suo fallimento inaridisce il mondo degli affetti e oscura il cielo della speranza. I segnali sono già preoccupanti, e li vediamo”.

Inoltre, il Pontefice è tornato a parlare di “colonizzazioni ideologiche” (tema sviluppato anche il 19 gennaio 2015), anche perché la società italiana sta subendo una pericolosa invasione, attravero il tentativo di introdurre l'ideologia del gender con percorsi educativi all'interno delle scuole: l'art 1 comma 16 della legge 107 cosiddetta “buona scuola” conferma. La quale attua i principi delle pari opportunità: l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto legge 14/08/2013, n. 93. Fin qui tutto bene... ma solo in apparenza. Perché non appena troviamo la convenzione a cui il testo si richiama, quella di Istanbul, scopriamo la trappola della neolingua: la parola genere. In questo contesto non ha significato di sesso biologico, bensì di negazione dello stesso, in quanto è considerato stereotipo da superare. Quindi, hanno usato argomenti nobili, quale il rispetto della donna, la lotta a ogni discriminazione, a guisa di cavallo di Troia per far passare una “educazione totalitaria” per confondere le giovani generazioni. Chi ha denunciato il pericolo insito nel comma 16 dell'art 1 della 107 – il Comitato Difendiamo i Nostri Figli in prima linea – ha più che ragione.

Insomma, l'intervento del Papa non poteva arrivare in un momento migliore; è provvidenziale, dato che il matrimonio la famiglia la libertà di educazione dei genitori la vera formazione dei bambini dei ragazzi sono sotto assedio, ora più che mai. Come ha detto il portavoce del Comitato DNF Massimo Gandolfini, intervistato da Adnkronos: "Speriamo che queste parole arrivino anche ai parlamentari, alla classe politica, soprattuto quella che si definisce cristiano-cattolica. Queste dichiarazioni dovrebbero parlare anche alle coscienze di coloro che si sono assunti la responsabilità di mettere sullo stesso piano matrimonio le unioni civili, senza differenziare la famiglia come società naturale".








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Congedo con onore: Clemente Russo e il "friariello" Bosco







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martedì 4 ottobre 2016

Come eravamo: Creative Discipline: Incontro con Mons. Luigi Giussani

Abbiamo chiesto a mons. Giussani di introdurci al tema del meeting, (Creazione, arte, economia) soprattutto nella coscienza di rendere il nostro dovere quotidiano costruzione, ovvero che nonostante la disciplina fatta di regole precise a cui il lavoro e la concretezza quotidiana ci chiamano, l'ideale non sfugga al desiderio di creazione.

C'è concetto più vicino a quello di grazia del concetto di creazione? Creazione è Grazia. In questa identificazione si possono valorizzare due emergenze.

La prima emergenza è che il concetto di grazia suppone un ordine: la parola grazia, o dono, implica necessariamente il riferimento ad un ordine. Da questo ordine scaturiscono quelle che si chiamano le leggi, cioè le condizioni in cui tradurre, rendere esistenziale il dono stesso. La rigidità della regola, della disciplina, è la rigidità con cui il sole illumina la terra: non è rigidità ma piuttosto sicurezza, stabilità. Anche la più bella faccia del mondo quando si vede in quei quadri televisivi deformati è una mostruosità. In questo senso l'ordine è origine delle leggi proprio come origine di una stabile sicurezza per cui ciò che è inteso avviene. Non c'è grazia, non c'è dono se non dal di dentro di una appartenenza: non di qualsiasi appartenenza, perché l'appartenenza ad un vampiro potrebbe procurare disagi, ma l'appartenenza ad un ordine. Il termine ordine infatti coincide con la bellezza. 

Come dice la poesia del poeta polacco Norwick che il Papa ha citato agli universitari di Katovice, la bellezza provoca meraviglia, questo inevitabile atteggiamento di gratuità (questo momento di gratuità, che è la meraviglia della bellezza, decide di come si agisce poi, di tutto quello che si fa poi). 

La meraviglia spinge al lavoro, suggerisce il lavoro; nel lavoro entrano in contatto e tendono alla simbiosi l'energia dell'uomo con il riverbero stabile e sicuro dell'ordine. E il lavoro è fatto per risuscitare. 

Questa parola apre alla seconda emergenza. In questa seconda emergenza si vede più visivamente come la parola Grazia coincide con la Creazione, è creatività. Infatti se il lavoro è per resuscitare, vuol dire che il lavoro dà un apporto di novità, perciò di freschezza, cioè di vita, di interesse, per usare una delle parole più grandi che possiamo usare se sentita nel suo valore etimologico; un interesse per cui l'uomo che appartiene all'ordine è una cosa nuova, l'uomo trova più interesse, più piacere, si compie di più, tutto ciò che appartiene all'ordine, riflette l'ordine secondo una novità per cui diventa grazia. 

Proprio in quanto scaturisce dall'azione dell'uomo la parola Grazia coincide con la parola creatività, il lavoro diventa creatività. Mentre nella prima emergenza erano sottolineate alcune condizioni, la seconda emergenza è come più immediatamente umana, ha valore più immediatamente umano, anzi ha un valore così umano che è personale. Dalla meraviglia che la bellezza suscita e per cui la persona è stimolata al lavoro vien fuori una cosa più bella di quella che era prima, cioè più vicina alla bellezza e più utile all'unità del tutto, del disegno totale di quanto la situazione era prima, diventa più piena di grazia, ed è in questo più che si aggiunge che l'uomo partecipa della creatività originaria, propria di Dio, nella quale tutto è previsto. Ma queste emergenze implicano una condizione: la prima emergenza implica anzitutto il riconoscimento di un ordine universale, cioè il riconoscimento di un disegno, il riconoscimento di un Regno, il riconoscimento di una unità piena di senso; la seconda emergenza invece sottolinea la passione per il posto che la persona è destinata a fruire dentro l'unità totale. Questo posto dentro l'unità totale che la persona è chiamata a fruire coincide con la parola felicità, compimento, perfezione; perciò la prima emergenza implica il senso religioso, mentre la seconda emergenza implica e impegna in una passione viva e scandita per l'umano. Se la persona non sente se stessa, non farà mai un lavoro di base con tutto lo stupore dell'intuizione della bellezza, perciò questa persona farà le chiese come le hanno fatte nel dopoguerra o le case di cui si è coperta la Brianza (questo miscuglio di scandinavo, svizzero e algerino). 

L'ordine di cui si è parlato prima non è un ordine che dobbiamo cercare, perché in un certo senso c'è già: noi dobbiamo scoprirlo, non aggiungere qualcosa. 

Noi dobbiamo riconoscerlo: se lo riconosciamo, diventiamo ubbidienti alle leggi. Le leggi non sono altro che il riflesso della totalità sul momento che tu vivi, e questo momento che tu vivi ottiene il tuo intervento, il tuo impegno se tu sei percosso dalla bellezza dell'ordine e, attraversando quel preziosissimo e mai sottolineato momento di pura gratuità che è la meraviglia, impegni le tue energie e impegnando le tue energie crei un mondo più bello, cioè ottieni un riverbero maggiore della bellezza totale e così compi un bel lavoro. Lavorare senza che nel cuore ci sia un ultimo stupore e un'ultima gratitudine non è lavorar bene (gli artisti di oggi possono farlo, con le scempiaggini che ci propinano...). Senza questo passaggio attraverso il momento della gratitudine, senza contenere dentro di sé questo aspetto di stupore e di gratitudine, non si può costruire una cosa nuova, cioè qualcosa che soddisfi di più l'interesse, che sia più utile al cammino che l'uomo compie verso un orizzonte di maggior compimento, di maggior felicità. Chi fa obiezione al fatto che il mondo sia un disegno di Dio, e perciò che sia una cosa positiva e bella, chi si oppone all'idea dell'ordine universale, a mio avviso non può costruire una cosa nuova, non può creare. È come il bambino, sgridato dalla madre, che si tura gli orecchi e si mette a sua volta a gridare per coprire il senso delle parole di sua madre: questa non è creatività. 

Non ho parlato di un solo fattore importante: è l'immaginazione: essa è fondamentale per l'arte come per la costruzione di un dinamismo economico. Ma l'immaginazione nasce dalla passione di sé aizzata e pacificata (l'arte è l'espressione di una pace) di fronte all'ordine delle cose. Quando passando davanti a una chiesa si dice «come è brutta questa chiesa» vuol dire che manca il senso di un ordine ultimo a cui finalizzare tutto il materiale secondo una novità che incrementi la sicurezza della gioia e l'espressività dell'uomo. Come fa un architetto che non abbia amore alla propria umanità, che non abbia un sentimento vivo e amoroso di sé a costruire una bella casa? Ci costringeranno a dire che sono bei quadri fatti da pittori che in tempi più sani sarebbero serviti a riempire i sacchi delle immondizie. 

Obiezione che viene posta all'ordine spesso non è la negazione che esista un disegno di Dio: si sente dire che magari c'è anche un disegno di Dio, ma mescolato a tanti altri disegni, a tanti altri ordini, a una complessità. Si è portati ad accettare questa complessità, ad accontentarsi di dare un apporto personale a questa complessità. 

Facciamo l'esempio delle case popolari, dei casermoni di certa mentalità urbanistica: degradano l'uomo, quella non è una novità. L'uomo poteva essere più felice nelle grotte, cioè usare meglio la propria umanità nelle grotte. Usando la realtà si ottiene o una degradazione della presenza o una migliorazione della presenza: non si scappa. Seppelliti da un'infinità di condizionamenti, potrete dare uno spunto creativo limitato, mentre se non ci fossero tutte quelle determinazioni potreste dare uno spunto creativo più ampio. Ma realmente appena l'uomo si muove e usa della realtà, o degrada l'uomo o lo migliora. L'idea delle case e dell'urbanistica che oggi ci perseguita, tende solamente a soddisfare una necessità istintiva, in modo tale che chi ci vive la dovrà pagare tutta la vita con un'infinità di altre limitazioni, con una infinità di soffocamenti. Non voglio dire che il brutto non realizzi la risposta ad alcun interesse: dico che può soddisfare un interesse come si soddisfa un istinto. L'inesattezza del tener presente come criterio la soddisfazione dell'istinto, la nefandezza, la peccaminosità di questo sta nel fatto che mette fuori posto tutto il resto e il tempo che passa fa emergere questa dislocazione. Il concetto di compito può sembrare più astratto, più arido, ed è invece la fonte della poesia. 

Il lavoro oggi è declinato secondo una modalità che si chiama tecnologia che ne costituisce il contenuto normale e il lavoro quasi di tutti consiste nel contribuire alla tecnologia. La tecnologia a sua volta è garantita dalla copertura della scienza che ne garantirebbe il risultato e la possibilità pratica. Diciamo che nel lavoro normale di tutti il compito storico che uno si trova di fronte è l'incremento della tecnologia. 

Mi sembra che il tuo intervento prenda le osservazioni precedenti e le dilati, perché con la tecnologia si può distruggere il mondo: il termine di questa tecnologia può essere la distruzione del genere umano. Non sono io che lo dico, sono premi Nobel partecipanti alle Accademie delle Scienze di diversi paesi. Allora prima di tutto la tecnologia impegna più analiticamente: uno deve fare un certo pezzo, ha l'incarico di una certa parte. Tutto può essere salvato se uno fa il suo lavoro con l'immagine del grande ordine a cui partecipa facendo con esattezza quello che deve fare: lo fa con una cura più appassionata. Ma la risposta alla tua osservazione si sposta a livello di coloro che hanno in mano la managerialità generale delle cose: possono essere dei traditori del popolo o possono essere dei creatori di una novità utile. Il tuo intervento sposta la questione dall'osservazione di un lavoro che costruisce un particolare a quel livello dove la persona concepisce il tutto: dico che come ai tempi di Gesù gli scribi e i farisei ( vale a dire quelli che hanno in mano la managerialità della questione) sono certamente i più facili ad essere soggetti di male, mentre il povero popolo, i servi della gleba (cioè i tecnici) possono ancora avere uno spazio di bellezza, di ammirazione, di gusto per il lavoro e di gioia per vedere una cosa che nasce sicura, bella, secondo tutte le regole. In un'epoca in cui il lavoro tende a coincidere con la tecnocrazia, il problema gravissimo è che l'uomo recupera all'improvviso l'assetto della schiavitù e la lotta contro la schiavitù diventa come la premessa per ogni creatività, ogni arte, ogni dinamismo economicamente efficace per l'uomo. Come in un certo periodo della storia era il feudatario che era il soggetto di tutti i diritti, l'uomo intero, mentre gli altri erano come dei pezzi di umanità, in un'epoca in cui il lavoro coincide con la tecnocrazia, chi ha in mano il potere è il feudatario nuovo. Non che lo debba essere, ma è molto facile che lo diventi. Io vi auguro di diventare tutti feudatari, feudatari buoni. Qualche cosa ci si deve rimettere. Non si può avere come scopo nel rifare l'urbanistica di una città il mettere via 68 miliardi e nello stesso tempo produrre qualche cosa di ineccepibile e perfetto. Per questo dobbiamo pregare per i potenti, perché è come pregare per se stessi, perché salvino lo spazio dell'umano. 

Fra le finalità dell'Associazione Creative Discipline immagino uno strumento per aiutarci a tener desto questo tipo di questione è a svilupparlo nel nostro lavoro concreto. 

Noi qua siamo 200 ingegneri in Italia e altrettanti architetti cosa si aspetta da noi? Cosa le piacerebbe che facesse un corpo di questo tipo? 

Sulla prima affermazione sono d'accordo: spero che l'Associazione vi aiuti a sviluppare sensibilità, comprensione e affettività a quelle cose che ho detto. E la risposta alla seconda domanda è la stessa: mi aspetto che vi immedesimiate sul serio nelle cose che ho detto, perché sono più di quanto sembri al vostro orecchio stanco della giornata. Un uomo, tecnico o non tecnico, in qualunque ambito, che non possa amare l'esito del suo lavoro, è uno schiavo. Per questo la domanda fatta in precedenza è l'intervento più drammatico perché ci costringe a portare lo sguardo a chi realmente determina tutte le condizioni del lavoro, ma il lavoratore ordinario è come molto più libero, come il povero di fronte al ricco: è molto più libero e ha molta più possibilità di gioire, e di far le cose bene, anche se la sua bella stanga così ben fatta andrà a sostenere la volta di un luogo di morte ( come nel romanzo « Vita e destino » di Grossman). Chi ha in mente la costruzione della camera a gas è impossibile che ne gioisca, mentre l'operaio dell'officina che vede il pezzo uscire bene ne gioisce: è l'eterno vantaggio del povero sul ricco. 

Tra noi c'è della gente che prova a fare l'artista: ci siamo messi insieme per fare gli artisti in questo mondo dell'arte, vogliamo essere presenti con il fatto che abbiamo incontrato. però nello sviluppare questo nostro linguaggio siamo molto deviati da quello che adesso funziona, è di moda. Come il nostro lavoro può essere più fruttifero, come non scimiottare? 

Siate voi stessi e difendete la vostra storia. Toccherà alla compagnia a cui partecipate, voi sarete i primi sollecitatori in questo senso, perché la compagnia a cui partecipate cercherà di difendervi, comprando i vostri quadri. L'artista, come il lavoratore, è in funzione di una realtà umana più grande. L'autenticità di una intuizione artistica e la sua traduzione può essere resa possibile nonostante tutti i premi siano dati ai comunisti, come era subito dopo la guerra. 

Oggi noi abbiamo a disposizione energie notevoli, però di solito vengono usate male nei confronti dell'uomo. È perché sostanzialmente esiste un'immoralità diffusa, o perché non c'è una sufficiente passione? 

Io credo che questo aut aut tenda ultimamente a unificarsi: l'immoralità è la mancanza di passione per l'umano, un atteggiamento è immorale perché è contro l'uomo. Però questo intervento insinua una cosa molto preziosa: se ci sono tante energie, è necessario che venga costruita una comunità umana dal basso, di uomini appassionati all'uomo, perché questo può resistere di fronte al potere che comunque usi quei materiali per un maggior interesse immediato e basta. Questo è vero dall'inizio del mondo perché i popoli son nati come aggregazione per la realizzazione di una bellezza comune, di una libertà, di una creatività, di un comodo vero, per il superamento di obiezioni grosse alla vita. Dentro una realtà dove tutto è tendenzialmente universalizzato, dove il potere diventa sempre più ristretto e in mano a pochi, questa logica iniziale dell'umanità ha bisogno di riaversi e di agire senza sonno, come adesso. Il nemico del potere sono gli uomini che si mettono insieme per uno scopo umano da raggiungere. E non sono nemici del potere perché il potere è cattivo, il potere è uno strumento, dipende da come viene usato il potere. La lotta contro la cultura dominante non deve aspettare qualche genio che emerga: è il congregarsi in unum, dice la liturgia, riunirsi in uno di gente che ci tenga alla propria umanità. Non per nulla il grande genio della natura è lanciare l'universale paragone dell'uomo con la famiglia: nel cristianesimo diventa segno sacramentale, segno efficace dell'unità del genere umano. Le parole che avete sentito per tanti anni (compagnia, amicizia, comunita) sono parole fondamentali per la liberazione dell'uomo, dell'uomo che sei tu con tua moglie e i tuoi figli. Invece una volta passato il gran gioco scoutistico della comunità in Universita, per esempio, ognuno va per suo conto; e questo è il primo delitto contro se stessi, contro la propria moglie e i propri figli, e contro il proprio lavoro. Nella «Mater ed Magistra», e nessuno più lo ricorda, Giovanni XXIII al quinto punto dei 10 segnalati come espressione dei diritti fondamentali dell'uomo è il diritto all'associazione: È la prima cosa che un governo cerca di soffocare, almeno i governi che conosciamo. Con l'impostazione tecnocratica di adesso non è affatto necessario raggiungere il livello di Hitler o di Stalin: gli Hitler e gli Stalin si moltiplicano. Anzi è un po' più amaro allora il Vangelo quando dice che «coloro che hanno potere su di loro si fan chiamare benefattori». Inversamente, non esiste un lavoro, una ascesi, un impegno più ingrato e più nobile, più necessario che quello di utilizzare il potere perché queste verità possano avvenire. Per questo ho sempre detto che dall'esperienza cristiana non può non nascere una cultura nuova, e l'espressione praticamente suprema di una cultura è la politica. Raramente è così generale un moto di riconoscenza e di stima e di lode come quando si trova un uomo che usa del potere che ha in modo buono. 


(Giussani Luigi, Creative discipline: incontro con mons. Luigi Giussani: Milano 14 luglio 1987)






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lunedì 3 ottobre 2016

Obice: Nel merito dell'unione civile di Isabel e Federica

Il ddl Cirinnà-bis è passato, lasciando come legge le unioni civili. E così Pinerolo ha visto le sue seconde “civilunioni” mercoledì mattina, grazie al sindaco 5 Stelle Luca Salvai. Ma questa volta non ha riguardato semplici cittadini, bensì delle ex suore, che non a caso riceveranno pure la “benedizione” (la diciannovesima del 2016) di Franco Barbero, don sospeso a divinis da San Giovanni Paolo II (e non 'Paolo Giovanni', come hanno scritto su La Stampa), per i suoi giudizi erronei sulle unioni tra persone dello stesso sesso.

Si parla di Isabel e Federica, sudamericana la prima, italiana la seconda, due suore francescane, che dopo aver passato molti anni in diverse missioni del mondo, hanno deciso di lasciare i voti e il convento. Come riporta La Stampa, elle “si sono conosciute durante un viaggio pastorale, essendo entrambe due suore francescane. Ma Isabel e Federica si uniranno in 'matrimonio' a Pinerolo. Perché hanno capito di amarsi. «Dio vuole le persone felici, che vivano l’amore alla luce del sole», dice Isabel. «Chiediamo alla nostra chiesa di accogliere tutte le persone che si amano», dice Federica. Sono molto timide, molto forti. E chiedono di non dire altro”.

Dunque, il sindaco di Pinerolo ha unito civilmente e Franco Barbero le benedirà, durante la messa per loro, perché “amo la mia chiesa - dice a chi lo intervista - faccio il prete tutto il giorno a tempo pieno. Scrivo dei libri, curo un blog, sono in contatto con tantissimi sacerdoti che la pensano come me. Ed è proprio attraverso la rete che ho conosciuto anche Isabel e Federica. Sono due persone belle, con due lauree importanti. Persone di fede intensissima. Si sono conosciute tre anni fa. La loro è stata una decisione pregata. Hanno riflettuto a lungo, è stato un cammino tormentato. Hanno preso la loro decisione con coraggio, sapendo che non sarebbe stata molto condivisa». Molto? «Posso assicurare che non tutti sono stati contrari. Sono state criticate, ma anche capite da alcune consorelle. Così come ci sono tantissimi preti buoni che non condannano questo genere di scelte. E devo aggiungere, per la cronaca, che non è neppure la prima volta che mi capita di sposare due suore».

Ora, credo possano essere espresse alcune considerazioni su tutto ciò. Dal sindaco Salvai, membro del Movimento 5 Stelle, che tanto si vanta di lottare contro ogni sopruso, corruzione mi sarei aspettato lo stesso atteggiamento dei sindaci Fabio Dalledonne (Borgo Valsugana, Trentino), Susanna Ceccardi (Cascina, Pisa) e Serafino Ferrino (Favria, Piemonte), che han fatto valere il giusto principio di obiezione di coscienza, per motivi etico-morali. Perché? C'è una questione che accomuna tutti, al di là della bandiera politica sotto la quale si milita: la realtà. Ogni volta che la si manipola, nasconde, si commette sopruso. Che il matrimonio, la famiglia e di conseguenza i bimbi richiedano solo un uomo e una donna, è un dato di fatto, è realtà: con buona pace dei giornalisti de La Stampa e di Franco Barbero don. Negarlo è sopruso; e l'attuale legge del PD sulle unioni civili lo fa compiere, attraverso l'equiparazione del matrimonio della famiglia con una unione che nulla ha a che vedere con esse, a chi l'applica.
L'affermare pubblicamente che l'unica unione da riconoscere e celebrare sia fondata dalla complementarietà fra uomo e donna, non è frutto di un'idea religiosa o dei cattolici bigotti, ma della ragione, comune a tutti, credenti e non. Lo sapevano sia Aristotele, che vede la famiglia quale 'associazione istituita dalla natura', sia Cicerone, che definì il matrimonio “la prima forma di società”. E in tempi più recenti, persino Karl Marx, il leader di tutti i comunismi, conferma – così sembra - quanto appena detto: «il rapporto immediato naturale […] è il rapporto dell’uomo con la donna» (Manoscritti economico-filosofici del 1884, pag. 109/110). Allo stesso tempo, far valere l'obiezione di coscienza con queste ragioni, contro una legge iniqua – aggettivo appropriato, dato che nega la libertà di coscienza, oltre ad aprire la strada all'utero in affitto -, è un atto (più che) buono e giusto. Però i leader pentastellati, anziché ricordarsene, preferiscono essere il secondo volto del “pensiero radicale di massa” (per ricordare Augusto Del Noce), dopo il PD.
A riguardo di Federica Isabel e Franco Barbero don. Lungi dal volere giudicare le loro persone, forma mentis che ho acquisito grazie ai frutti della tradizione bimillenaria della Chiesa, dal Catechismo, dai Papi, tra cui Francesco (la propositio 64 della Evangelii Gaudium conferma), vorrei dire qualcosa sulle loro scelte. Da fratello a fratelli. Loro stessi hanno rilasciato a La Stampa di amare la Chiesa, di essere amati da Dio, di amarLo. Sicuramente Egli li ama, altrimenti non ci sarebbero. Però, Dio ha soprattutto rivelato l'unica Via, Verità e Vita, il Figlio Unigenito, Gesù Cristo, “Egli stesso”, da seguire per amarLo nel modo giusto e ricevere le Sue grazie.

Loro che son state suore francescane, lui che è sacerdote, sebbene sia sospeso a divinis, (il sacerdozio è uno dono prezioso e serio, dura per sempre), dovrebbero almeno percepire che le unioni tra persone dello stesso sesso e la benedizione da parte di un cattolico ad esse contraddicono proprio quanto Cristo ha insegnato. Tali atti portano fuori della Grazia di Dio, anche se sono ammantati delle intenzioni più belle: non a caso si dice che l'inferno sia lastricato di buone intenzioni. Inoltre, si chiedano anche perché buona parte dei media, come La Stampa, sono in prima linea quando si tratta di attaccare quello che di buono e giusto esiste per ogni uomo (credent e non), quale l'irriducibile dignità della persona, il matrimonio, la famiglia etc. Lo sono perché ormai sono strumenti di circoli culturali radical-laicisti, che non hanno una grande stima per l'uomo: qui l'uomo è solo materia o tutt'al più uno strumento per fare profitto (Papa Francesco ha parlato diverse volte di imperi economici dal volto sconosciuto, non va dimenticato), la sua dignità non supera quella degli animali e dei vegetali; di fatti, l'aborto e l'eutanasia si generano lì.

Senza queste domande si rischia, prima ancora della punizione divina, di vivacchiare, vivere a metà. Il sentimento tra persone dello stesso sesso è amore dimezzato, per quanto bello possa essere – me lo ricorda spesso l'amico e celebre scrittore Philippe Arino - perché viene a mancare il dono della complementarietà fra uomo e donna, che dà pienezza e apre alla vita. Ecco lo scopo del matrimonio e della famiglia: questa certezza di pienezza, come conferma il capitolo 1,27,28 del Genesi: «Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”». Un progetto intelligente che genera, appunto, una felicità piena, non a metà, conseguenza dell'aver accettato il progetto di Dio per ciascuno di noi, più grande delle nostre pretese di felicità. San Francesco e Santa Chiara erano pienamente consapevoli di tale certezza. Non a caso questo testimoniano e trasmettono i frati del SOG di Assisi quando tengono il corso per fidanzati.





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