sabato 5 agosto 2017

Salmerìa 31.2017

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venerdì 4 agosto 2017

Conversazione al fronte: Intervista a don Paolo Gariglio: Per stare ai fatti, oltre ogni mistificazione ideologica

«Costruire un cancello fra me e loro? No, piuttosto li accolgo per salvarli dalla droga»

30 luglio 2017. È una luminosa Domenica d’estate, cammino sul sentiero di un bel bosco, qui in Alta Valle di Susa, precisamente a Château Beaulard. Al mio fianco, vi sono Valentina, Gabriele e Diego, tre dei tanti giovani cresciuti da don Paolo Gariglio. Oggi saranno le mie guide: mi stanno accompagnando ad intervistare don Paolo, presso la casa in montagna dove da anni il grande sacerdote di Nichelino accoglie tutti i membri della comunità, offrendo turni di esercizi spirituali, vacanze o formazione, secondo le esigenze specifiche di ciascuno.

Mentre saliamo, i tre mi parlano delle opere del don, di cosa ha fatto per loro e per tanti coetanei. Scopro così che questi è un vero asso della Carità. Ha fondato la comunità Nicodemo, è stato delegato per i giovani della Federazione Italiana Esercizi Spirituali. Ha lanciato i Cursillos di Cristianità a Torino nel 1982, insieme ad un grand'uomo, Ernesto Pozzi. Ha realizzato l’Engim, un’associazione senza fini di lucro finalizzata alla formazione professionale dei giovani e dei lavoratori. Ha portato in Piemonte la pregevole esperienza della Federazione Scout d’Europa. Ha fondato la testata free-press Nichelino comunità, distribuita in numero di 23.000 copie, e la radio omonima. Ha realizzato la rivista spirituale Il vento. Mi dicono che è perfino pilota d’aerei. Nel frattempo ha anche trovato il tempo per scrivere una trentina di libri. Insomma, a metà tra don Bosco, San Giuseppe Cafasso, il leggendario aviatore Francesco Baracca e il Murialdo.

Mi sono spinto così in alto per far conoscere il vero don Paolo, contro le tante polemiche unilaterali e manipolazioni sorte nei giorni scorsi attorno al suo libro Ti amo: la sessualità raccontata agli adolescenti. L’altezza ove mi trovo, in cima alla conca di Bardonecchia, sembra simboleggiare la meta che ogni homo viator-religiosus - non accecato da ideologie invalidanti - deve raggiungere per vedere la realtà, la Verità oltre ogni apparenza.

Arriviamo in tempo per la Messa e troviamo il don pronto ad accoglierci paternamente. È uscito da poco dall'ospedale, anzi, il giorno prima di essere dimesso: «I miei giovani non potevano aspettare». Intanto che lo dice scorgo nei suoi occhi, segnati dal tempo, ma vividi come il suo acume, una gioia immensa. Assisto alla Santa Messa, che conclude il campeggio dei lupetti-scout d’Europa. Dopo pranziamo in un’atmosfera familiare, merito della dedizione dei volontari addetti alla cucina e dell’allegria portata dalle famiglie presenti. Mi trattano come uno di loro, figlio e fratello. Mi si dà anche l’occasione di scorgere cosa sia qui il “dialogo interreligioso”, grazie al bel rapporto tra il don, la comunità e il cuoco musulmano, che partecipa alle attività dei campeggi e vive nella canonica della Santissima Trinità di Nichelino. Entrambe le parti rifiutano il sincretismo: i cattolici sono fieri del “fatto cristiano” che li rende Figli di Dio, il mussulmano della propria religione. Si stimano, amando la propria specificità. Finito il pranzo, don Paolo mi ospita nel suo studio; inizia l’intervista.


Cos'è per lei l’educazione?

L’educazione per me è tentare di ripetere ciò che faceva don Bosco. È avere un cuore che ama. Sapete che l’amore è agape ed eros; agape, cioè, amore materno, della madre che ama i suoi bambini, amore fontale, come l’Amore di Dio. E poi, eros, cioè amore paterno, puro e appassionato – anch'esso come l’Amore di Dio –, persino artistico, che, attraverso il “metodo preventivo”, diventa capace di togliere da davanti il naso dei ragazzi tutto ciò che li può pervertire, mostrando loro tutto ciò che li può entusiasmare verso la luce, verso l’Alto.

Ci può parlare della comunità terapeutica Nicodemo?

Nel 1977, ero parroco di Nichelino, da oltre un anno, dopo dieci anni di servizio presso la parrocchia di San Luca, e mi sono reso conto del problema, enorme, della droga. Alla fine di quell’anno, il consiglio pastorale, che esisteva da poco, propose – pensa, con il mio consenso di parroco –, di costruire una grande cancellata davanti alla chiesa nuova della Santissima Trinità. Perché? Di notte alcuni ragazzi e ragazze andavano ad urinare davanti al portone della chiesa.

Progettavamo di costruire la cancellata in ferro per allontanare quei giovani. Ad un certo punto, sono rientrato in me stesso e ho pensato al muro di Berlino, che allora era ancora in piedi e divideva le persone: «Ma come, mi difendo da questi ragazzi? Quanto costa, 18.000.000 di lire? No, non voglio il cancello che divide. Con questi soldi apro un alloggio in Via Toti, sempre a Nichelino, e incomincio a raccogliere i ragazzi di notte». Venivano a prendere il caffè e noi li invitavamo a dormire nelle quattro stanze che avevamo a disposizione. Così è nata la comunità Nicodemo, che ho trasportato pure a Château per sette anni, quasi otto. E mentre accoglievo questi ragazzi, mi sono venute in aiuto le suore vincenziane, grazie a due grandi figure: suor Giuseppina e suor Lucia.

Ci racconti qualcosa dell’esperienza come delegato per i giovani della Federazione Italiana Esercizi Spirituali...

Mi sono interessato alla Federazione su invito del suo stesso fondatore, l’allora vescovo di Alessandria, Monsignor Almici. Così, per decenni sono stato dapprima consigliere e poi delegato per i giovani.

La scorsa settimana, ha sollevato tante polemiche la distribuzione di un suo libro ai giovani delle parrocchie di Nichelino, all'interno delle attività estive; cosa può dirci a proposito?

Secondo me il libro va bene. Però se l’editore decidesse di ristamparlo, come ho già detto a chi, con “trabocchetto”, mi ha intervistato precedentemente, userei un altro tipo di linguaggio per non dare l’impressione di voler offendere alcuno; e lo farei sempre alla luce di quanto il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna.

Ha parlato di “trabocchetto”, che cosa vuol dire?

Il trabocchetto, magari fatto in buona fede, consiste in questo: mentre sono in ospedale con tutte le mie flebo, che non mi hanno permesso di seguire 3-4 giorni di polemica - sapevo niente -, mi telefona il vicario episcopale per le comunicazioni sociali della Diocesi di Torino, il mio amico don Livio De Marie, esprimendomi la sua solidarietà e chiedendomi se accettavo di fare una chiacchierata ed eventualmente rispondere ad alcune domande di un giornalista, suo carissimo amico. Naturalmente ho detto di sì, che chiamasse pure.

Quando mi ha telefonato, il suo carissimo amico, ha incominciato a parlarmi della sua vita: «Siamo quasi colleghi, perché sono ex prete»; io gli ho detto: «Non officerai, ma rimani comunque prete in eterno. Allora, abbiamo gli stessi studi. Cosa dici di questo mondo che si diluisce, scioglie, dove i principi nascono dalle emozioni? Noi che abbiamo una cultura solida, granitica con 5.900 anni di storia sacra, di rivelazione divina, non abbiamo qualcosa da dire? Però, siamo troppo taciturni, come se non l’avessimo. E non solo; diversi uomini di Chiesa non aiutano ad esprimersi in tal senso e lasciano soli i preti, i laici, che con una debole protezione subiscono le pressioni della cultura liquida, sempre pronta a metterli sotto accusa».

Lui mi ha detto: «Bene» e poi ha aggiunto: «Veniamo alla domanda. Rifarebbe il libro?». Ho risposto con quanto ho asserito prima.

Poi ci salutiamo mandandoci tanti abbracci e augurandoci di incontrarci presto. L’indomani ricevo la telefonata di molte persone, le quali mi fanno notare che l’intervistatore ha manipolato le mie affermazioni.

Qual è la tesi centrale del suo libro Ti amo: la sessualità raccontata agli adolescenti?

I principi dell’amore cristiano secondo il catechismo della Chiesa Cattolica.

Perché è importante educare i giovani ad una corretta concezione della sessualità?

Perché se taciamo, li educano gli altri. E se sarà la civiltà liquida ad educarli, salterà la famiglia e quindi il genere umano.

Un’ultima domanda don Paolo, cosa intende per civiltà liquida?

Rispondo con due piccoli esempi. Da una parte vi sono alcuni che chiedono di legittimare l’eutanasia per Fabiano Antoniani, in arte dj Fabo; al contempo, vi sono altri che accusano la Chiesa e le autorità civili di non aver fatto abbastanza per evitare l’uccisione di Charlie Gard. Dunque, dobbiamo far morire le persone o dobbiamo farle vivere?

Questa schizofrenia fa emergere la confusione che rende liquida la nostra civiltà. Non a caso, essa vive di principi in negativo: divorzio, aborto, nuovi “tipi” di famiglia, eutanasia. I quali vengono imposti con il dominio psicologico delle masse; e chi osa esprimere contrarietà verso ciò, è subito bollato come nemico pubblico. Siamo tornati al periodo del terrore imposto dalla rivoluzione francese. Ma – ripeto – se noi taciamo, altri educheranno i nostri giovani. E a rischio non vi è soltanto la fede, ma l’uomo stesso, il genere umano.








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mercoledì 2 agosto 2017

martedì 1 agosto 2017

Lettera dal fronte: Lettera aperta al Sindaco di Rivoli

Egr. Sig. Sindaco Franco Dessì,

purtroppo mentre le scrivo la vicenda del piccolo Charlie si è già conclusa con l'epilogo peggiore.

Un bambino inglese di 11 mesi, ostaggio di una medicina incapace di prendersi cura del più debole e di una giustizia cieca che ha cacciato fuori dalle aule dei tribunali il diritto alla vita, senza il quale tutto cade e nessun altro diritto regge, viene soppresso con un atto eutanasico perché si considera inutile una vita che non abbia prospettive di guarigione o di miglioramento della “qualità” della vita.


La mobilitazione, che ha coinvolto anche Papa Francesco e il presidente degli U.S.A., è stata grande in modo particolare in Italia e questo è stato un segnale chiaro di quanto molte persone non vogliano assolutamente arrendersi alla "cultura dello scarto".

Quanto è accaduto a Charlie è un attentato all'intera umanità che viene ferita da un atto orrendo ancor più perché compiuto per legge e per decisione delle autorità di uno Stato che si arroga il diritto di stabilire quando una vita non è più dignitosa.

Per questo motivo ritengo che fosse importante l'iniziativa proposta a tutti i comuni italiani di illuminare di blu un simbolo della città. Abbiamo sinceramente sperato che anche il Comune di Rivoli, nel quale viviamo come cittadini e operiamo come volontari, decidesse di lanciare questo segnale, che certamente non avrebbe cambiato il destino di Charlie, ma che comunque sarebbe rimasto un'importante testimonianza di quanto anche l'amministrazione rivolese consideri fondamentale la tutela di ogni vita umana, ancor più se debole, malata e indifesa e soprattutto un aberrante delitto privare della vita un disabile in quanto tale.

Purtroppo dobbiamo prendere atto con sincero dispiacere che non solo il Comune di Rivoli non si è unito ai diversi comuni italiani che invece hanno accolto la proposta, ma addirittura la nostra richiesta inviata via mail il 10 luglio e sollecitata personalmente, non ha ricevuto alcuna risposta.

Solo pochi mesi fa siamo stati onorati di ricevere dalle sue mani la Benemerenza e confidavamo che questo riconoscimento pubblico potesse tradursi in effettiva considerazione per ciò che siamo e di condivisione dei valori che quotidianamente e gratuitamente sosteniamo e difendiamo. Sapendo poi quanto lei condivida la nostra posizione sul principio della tutela della vita umana, come ribadito in tante occasioni private, non le nascondo che un po' questo silenzio ci sorprende e ci rattrista.

Vogliamo ancora sperare però che si sia trattato solo di una svista, per cui mi auguro che almeno a questa lettera aperta lei desideri rispondere e certamente non mancherà occasione per un confronto diretto sul tema. A proposito la invito ufficialmente domenica 17 settembre alle 16:30 presso il Salone della Parrocchia S.M. della Stella, quando affronteremo il tema del fine vita alla presenza di due esperti. Mi auguro che lei possa presenziare e magari accordarci il patrocinio del Comune per tale importante iniziativa.

Con stima e rispetto le auguro un buon lavoro per il bene comune che siamo certi potrà tradursi anche in una concreta collaborazione tra il Comune e la nostra Associazione per la tutela e la valorizzazione del primo e indisponibile valore: la vita umana.


Cordiali saluti

Claudio Larocca
pres. Cav-Mpv Rivoli





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lunedì 31 luglio 2017

Conversazione al fronte: Intervista con la professoressa Anna Bono: Ius soli e ius sanguinis

È un periodo di fuoco quello che la politica italiana sta affrontando in queste ultime settimane. A scaldare gli animi non è il sole estivo, bensì il disegno di legge sulla cittadinanza, ora in discussione al Senato. La proposta in questione è stata fatta per introdurre il 'diritto di nascita', e non il cosiddetto ius soli, il quale esiste già dal 1992 a fianco dello ius sanguinis; sulla scia di Francia Olanda e altri paesi europei. Da allora sono passati 25 anni, e nel frattempo la cittadinanza è stata estesa a oltre un milione di immigrati.

A differenza di quanto accade nel resto d'Europa, da noi si rischia di allargare inutilmente il diritto di cittadinanza, e di dare l'impressione di “regalarla senza obblighi”, con un diritto di nascita che, qualora fosse approvato, vanificherebbe gli effetti di un ragionevole ius soli già vigente. Si tenga presente che in Francia e in Olanda vige lo ius soli ma non il diritto di nascita, e come nella legge Martelli del 1992, i minori possono acquisirla solo al compimento del diciottesimo anno. In Germania, Spagna, Regno Unito il diritto di nascita è temperato da un periodo di residenza del genitore più lungo di quello previsto dalle norme italiane. Non si citano gli Stati Uniti giacché hanno un'altra situazione politico-sociale ma una cosa è certa: nemmeno lì regalano la cittadinanza.

E se nel resto del mondo ricordare quanto detto non è prova di discriminazione, tutt'altro accade in Italia. Chiunque compia tale gesto di buon senso, è gettato al bailamme mediatico e accusato di “essere un cattivo”. In tale contesto si sprecano gli slogan pietistici e gli slogan urlati in opposizione, che purtroppo prevalgono sulle riflessioni di merito.

Ora, a chi non vuole annegare in quel mare di “fake-news” non resta che una sola cosa da fare: affidarsi a qualcuno di autorevole con cui approfondire per davvero la questione e stare ai fatti, lontani da ogni mistificazione ideologica. Ed è quello che chi scrive ha fatto per VitaDiocesana Pinerolese, chiedendo un giudizio ad Anna Bono, autorevole africanista e docente di Storia e Istituzioni dell'Africa presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino.


Una nuova legge sulla cittadinanza è necessaria? Ci aiuti ad approfondire la questione...

Premesso che non sono un’esperta in questioni giuridiche, credo che sia importante capire la distinzione fondamentale tra ius soli e ius sanguinis. Il primo stabilisce che chi nasce nel territorio di uno stato ne è cittadino, anche se i suoi genitori non lo sono. Il secondo fa dipendere la cittadinanza dal sangue, quindi dalla nazionalità dei genitori. L’Italia garantisce a tutti i minori residenti, autoctoni e stranieri, gli stessi diritti fondamentali – primi fra tutti, quello all'assistenza sanitaria e quello all'istruzione. Probabilmente la formula più ragionevole e che meglio tutela i diritti dei bambini e dei loro genitori, è quindi quella già in vigore: uno ius soli per così dire temperato in base al quale, raggiunta la maggiore età, i figli di stranieri nati e residenti in Italia stabilmente possono scegliere di diventare cittadini italiani.

Per quale motivo “lo slogan” che porta a equiparare l'emigrazione italiana di allora con quella di chi giunge oggi sulle nostre coste va sfatato?

Per prima cosa gli italiani che emigravano in passato, e quelli che lo fanno tuttora, emigrano regolarmente, rispettando le leggi nazionali e internazionali, mentre gli emigranti che arrivano in Italia lo fanno illegalmente.

In secondo luogo gli emigranti italiani del passato sceglievano come destinazione paesi in crescita, che chiedevano forza lavoro, mentre gli emigranti illegali attuali scelgono come destinazione un paese in forte crisi economica, con elevati tassi di disoccupazione (quella giovanile supera il 40%) e di povertà assoluta: una scelta irrazionale, del tutto anomala.

Tito Boeri, presidente dell'INPS, è d'accordo con quanto sostenuto dal monsignore; in una conferenza stampa, ai primi di luglio, ha dichiarato: “l'Italia ha bisogno degli immigrati per sostenere il welfare. La giovane età degli immigrati compensa il calo delle nascite nel nostro paese, la minaccia più grave al nostro sistema pensionistico”. Come commenta queste parole?

Non abbiamo bisogni di giovani, ovviamente, visto che tanti se ne vanno e milioni restano disoccupati. Abbiamo bisogno di lavoro, occupazione, crescita economica.

La quasi totalità degli immigrati illegali non lavora e non troverà lavoro, quindi non paga e non pagherà contributi. Se anche fosse, il nostro sistema previdenziale è contributivo. Quindi, quelli che lavorano, con i contributi versati maturano la loro pensione e il loro trattamento fine rapporto, non quello altrui.

Perché occorre riconoscere, oltre al diritto di emigrare, il diritto di vivere a casa propria? Come lo si può garantire, attraverso quali tipi di aiuto?

Premesso che il diritto a emigrare non comporta il diritto di andare dove si vuole, entrando in un paese a forza, con espedienti e senza rispettarne le leggi, il diritto primario è effettivamente vivere in dignità e sicurezza nel proprio paese. Ogni governo, ogni popolo dovrebbe impegnarsi a far valere questo diritto. Come? Occorrono prima di tutto governanti responsabili, preparati, disposti a contrastare corruzione e malgoverno. Aiuti dall'esterno sono possibili, ma non essenziali e men che meno risolutivi, se mancano le condizioni interne per garantire crescita economica e sviluppo.


Questa intervista verrà pubblicata sul giornale della Diocesi di Pinerolo, nel prossimo numero.






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domenica 30 luglio 2017

Cappellano militare: Il tesoro c'è

Non ha paura della povertà e non subisce il fascino della ricchezza: quel che gli viene tolto lo lascia andare e quel che gli viene dato non lo trattiene.

Libero e forte lo sguardo di chi ha fede, perché gli occhi non si arrestano alla terra, non si lasciano ingannare, ma cercano, mossi da una convinzione interiore: non basta la terra del mondo intero per strapparmi il tesoro che Dio ha preparato per me. A volte la terra si fa pesante sul capo di chi prova a camminare, ma il tesoro c'è.

Ci sono momenti in cui le benedizioni commuovono e altri in cui le privazioni straziano, ma il tesoro c'è. Dio non si stanca di prepararci un tesoro, a noi il compito di non stancarci di scavare per cercarlo.


Don Carlo Pizzocaro






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Obice: La battaglia per Charlie deve continuare

In queste ore è giunta la notizia che mai avremmo voluto avere. Le condizioni di Charlie Gard si sono aggravate e il piccolo è “stato affidato agli Angeli”, come hanno detto i suoi genitori, Connie Yates e Chris Gard. La responsabilità della morte non è solo della malattia, bensì anche del clima ideologico creatosi attorno loro, a causa di medici e giudici ‘demiurghi’, i quali hanno impedito ai Gard di partire per gli Stati Uniti, dove avrebbero potuto somministrare al figlio una nuova cura. Certo, la situazione era delicata, però i margini di miglioramento c’erano. Purtroppo, i 10 mesi in cui sono stati tenuti in ostaggio, dal Great Ormond Street Hospital e dall'Alta Corte britannica, sono stati fatali, e forse più della malattia.

Però, al di là degli aspetti inquietanti di tutta la vicenda, delle varie ombre su di essa – di cui si è ampiamente discusso su Vita Diocesana Pinerolese, il blog La Baionetta e su altre autorevoli testate – è doveroso soffermarsi su quanto significativa per ciascuno di noi sia stata la vita di Charlie Gard; breve ma straordinaria. «Ebbene, non dirò: non piangete, perché non tutte le lacrime sono un male», dice Gandalf alla fine del Signore degli anelli; parole che faccio mie e rivolgo a voi lettori, con il cuore commosso per il nostro piccolo compagno. L’importante è che il nostro pianto non sia carico di disperazione.

Vedete, Charlie Gard non si congeda da questo mondo da vinto, ma da vincitore. Per capirlo occorre considerare i tanti cuori che ha saputo conquistare. Di migliaia di persone, di specialisti, del presidente degli Stati Uniti, di Papa Francesco. Ma prima ancora, e affinché si possa capire bene quanto detto, è necessario fare affidamento sulla Speranza in noi e nella positività del reale. Sì, di fronte al mistero della vita, Charlie ci testimonia che questo mistero è buono, nonostante tutto.

Ha combattuto una grande battaglia, donando attraverso i suoi dolci occhietti amore e serenità alla mamma e al papà, e a noi, che siamo stati svegliati dal torpore di una cultura mortifera e violenta.

Ci hai fatto capire quanto sia perniciosa la tecnoscienza postumana, la quale in modo sempre più dispotico pervade il nostro mondo.

Hai fatto rimettere in moto la macchina della solidarietà nel cuore dei popoli. Abbiamo ritrovato la gioia per l’essere parte di un movimento di popolo, mosso da sani ideali. Gli Stati Uniti, l’Europa, in particolare l’Italia e lo Stato del Vaticano, hanno collaborato come non succedeva da anni. Così abbiamo capito che un movimento nazionale e internazionale per costruire la civiltà dell’amore e della vita è davvero possibile, perché è l’umanità della persona umana a chiederlo.

Abbiamo capito che due degli aspetti più importanti della battaglia per vita, sia per cattolici sia per i non credenti non affetti da laicismo invalidante, riguardano gli ospedali:

1) luoghi esteticamente belli, a misura d’uomo. E non “obitori” per vivi;

2) luoghi sicuri: il rapporto medico-paziente, non può essere sostituito dal rapporto costi-benefici. Il medico non può dimenticarsi del giuramento di Ippocrate, per questo farà tutto il possibile per salvare, curare la vita del paziente che gli è affidato .

Caro Charlie, hai fatto gettare la maschera a quei medici e a quei giudici che appaiono come sempre attenti al cosiddetto “bene dei singoli” e che invece giocano a fare le divinità con la dignità irriducibile di ogni vita umana.

Con la tua presenza hai permesso ai tuoi genitori di essere un faro di Speranza di un bene oggettivo e più grande, in questo tempo in cui le madri e i padri possono uccidere senza remore i figli, visti come errori, pesi, difettosi; di essere uniti, quando attorno a loro è un continuo smarrire le fondamentali evidenze antropologiche: l’uomo e la donna sono fatti per completarsi, non sono un semplice oggetto della natura, di cui si possa abusare e disporre arbitrariamente. Uomini e donne non si programmano attraverso la genetica o l’eugenetica. I bambini non si comprano e gli uteri non si affittano.

Tu hai permesso a tua mamma e a tuo papà di far vedere il contrario di tutto questo.

Ora riposa, mio amato fratello maggiore. Mio e di tanti. Maggiore perché in te abbiamo visto quanto la vita umana diventi nobile nel momento più supremo, quello della morte; e attraverso di te abbiamo visto quella vetta a cui l’uomo può arrivare quando compie il bene. D'altronde, l’uomo così raggiunge la vera allegrezza, la vera pienezza.

Questa è l’eredità che ci lasci, la quale ci invita a continuare a sperare che tu sia già in Paradiso, ove ammiri e sei abbracciato dall'amor «che move il sole e l’altre stelle». Perciò, mandaci conforto e aiutaci a continuare la buona battaglia per te, per i tuoi genitori e per tutti coloro che sono nel bisogno e che non hanno voce per difendersi.

Concludo pensando agli Annali dei Re e Governatori, La storia di Aragorn e Arwen, riportati nelle appendici de Il Signore degli anelli di Tolkien: «In tristezza dobbiamo lasciarci, ma non nella disperazione. Guarda! Non siamo vincolati per sempre a ciò che si trova entro i confini del mondo, e al di là di essi vi è più dei ricordi». Arrivederci Charlie Gard, ci ritroveremo.








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